La rivoluzione neolitica segnò un cambiamento epocale nella storia umana, da 10.000 anni, circa, prima dell’anno 0. L’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento permise la produzione di cibo in quantità maggiore, favorendo la crescita demografica e lo sviluppo di società più complesse rispetto alla precedente vita svolta in forma di sussistenza. Il passaggio dalla caccia e raccolta all’agricoltura sedentaria trasformò, infatti, le comunità, dando origine a nuove forme di organizzazione sociale ed economica, pose le basi per lo sviluppo delle prime civiltà e per la nascita di città e Stati, cambiando per sempre il corso della storia umana.
Alla fine dell’ultima glaciazione quaternaria il definitivo ritiro delle calotte glaciali aveva ampliato notevolmente gli spazi abitabili e favorito la diffusione di alcune particolari specie vegetali, in associazioni caratterizzate da stabilità e tipicità, nelle diverse regioni, simili a quelle attuali. Scomparse le altre specie di ominidi, caccia, pesca, raccolta di frutta e radici costituivano ora le basi della sussistenza di Homo sapiens sapiens, il quale, grazie al clima ovunque più caldo, aveva lasciato le caverne e, costruendosi ripari con pelli, frasche o altri materiali forniti dall’ambiente, era ora dominatore di tutti i continenti.
Si calcola che la popolazione complessiva del globo non superasse i 10 milioni di abitanti, ma non è improbabile che la copertura umana del pianeta fosse ancora più esigua. Di certo, era molto discontinua e – basandosi sugli spazi attualmente occupati dalle comunità delle popolazioni nomadi e calcolando l’ampiezza di territorio necessaria alla loro sopravvivenza – è stata stimata, per l’epoca, una densità di popolazione non superiore ad 1 abitante ogni 25-30 kmq. Naturalmente molte regioni della Terra, ancora inadatte alla vita nomade o difficili da raggiungere, restavano completamente disabitate.
Mentre le migrazioni contribuivano al popolamento dei vari habitat favorevoli alla vita umana, che si andavano formando in modo differenziato tra loro in corrispondenza dei diversi territori, l’incremento demografico spingeva a sua volta masse sempre più consistenti di uomini a migrare per cercarne di nuovi. Tutto ciò avveniva a partire da 10.000 anni, circa, prima dell’anno 0, quando l’uomo passava, gradualmente, da un’economia di sussistenza, basata su caccia e raccolta, ad una incentrata sull’allevamento degli animali, la coltivazione delle piante e l’agricoltura, attività che venivano ora svolte in modo sempre più sistematico.
In alcune parti della Terra, particolarmente fertili e in vicinanza di grandi fiumi, capaci di garantire un apporto idrico costante nonché adatti alla navigazione, si venivano qundi formando le prime comunità umane stabili o semistabili, ovvero non più di cacciatori nomadi, ma di agricoltori e pastori. Questo interessò, inizialmente, tra i 9.000 e i 7.000 anni, circa, prima dell’anno 0, la cosiddetta Mezzaluna Fertile, corrispondente alle regioni che vanno dalla Palestina all’Anatolia, alla Mesopotamia e all’Iran a Nord del Deserto Arabico, per estendersi, da un lato, verso l’Egitto, il Mediterraneo e l’Europa e, dall’altro, verso l’India.
Territori che, per tipo di suolo, clima e altre condizioni idonee alla coltivazione ed all’allevamento, divennero, innanzitutto, centri di domesticazione delle piante coltivate e, in particolare, di quei cereali che, ancora oggi, forniscono la base calorica alla maggior parte delle diete umane. Così come per il frumento, che – preceduto dal farro, più rustico e resistente – cominciava ad essere coltivato nella regione montuosa che separa l’Alto Tigri dall’Eufrate, al centro della Mezzaluna fertile, dinamiche analoghe valsero per l’allevamento degli animali domestici fra i 9.000 ed i 6.000 anni, circa, prima dell’anno 0.
Quest’ultimo aveva inizio nel Vicino Oriente e, più precisamente, quello suino nel Levante e nell’Anatolia, quelli bovino ed ovino in altre regioni limitrofe all’interno della Mezzaluna. E con ciò, insieme all’esigenza di razionalizzare le pratiche agricole, organizzandole in comune fra più nuclei familiari, negli stessi secoli si formavano, in Mesopotamia, i primi villaggi. Nel corso del tempo, a partire da questi insediamenti, si costituivano così comunità numericamente consistenti, basate su un’economia produttiva, che andava sostituendo quella di sussistenza ed a cui si associava la formazione di classi sociali gerarchicamente distinte e regolate da norme di convivenza.
All’interno di tali insediamenti si cominciavano a costruire magazzini, dove gli alimenti, in particolare, i cereali, potevano essere preservati dalle intemperie, dagli attacchi degli animali o da furti e saccheggi. La possibilità di produrre quantità crescenti di cibo, quindi, non solo da averne a sufficienza per i bisogni quotidiani, ma anche di crearne scorte da consumare nel futuro, provocava, nel tempo, un deciso incremento della popolazione. Il rapporto con l’ambiente non era più il frutto dell’esperienza sensoriale, immediata, dell’uomo, sottomesso alle imperscrutabili forze del cosmo, bensì veniva riconosciuto come spazio terrestre dominato e gestibile.
Meglio, la percezione della consequenzialità dei fenomeni osservati induceva, sì, a credere in divinità ordinatrici del cosmo e a cui il mito assegnava compiti precisi, ma in essi era possibile ora evidenziare una successione di fenomeni strettamente naturali e nei quali lo spazio poteva essere colonizzato stabilmente dalla comunità umana e rimodellato secondo le sue esigenze. Definito il proprio territorio, il suo centro veniva identificato con il centro del mondo, per cui la comunità stanziata doveva applicare su di esso una politica autoreferenziale e, tendenzialmente, isolazionista, poiché funzionale alla definizione della proporia identità e della propria autonomia.
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Infatti, all’integrazione dei questi gruppi sociali con il territorio seguiva la formazione di centri di potere capaci di attuare una politica sociale su di esso, di regolamentarne l’uso del suolo e delle acque, di realizzare opere di bonifica idraulica, di diffondere la pratica dell’irrigazione e di sviluppare attività artigianali e mercantili. Le più ampie conseguenze di questo passaggio dall’economia di sussistenza a quella produttiva quali derivanti dalla domesticazione di piante e animali vengono comunemente definite come “Rivoluzione Neolitica”, poiché foriere di una svolta epocale, almeno pari ai rovesciamenti radicali moderni.
Un ulteriore aspetto del cambiamento, nell’ambito del decisivo mutamente di vita di interi gruppi umani e delle associate attività di organizzazione territoriale, era lo sviluppo di una vera e propria curiosità geografica. Le società statalizzate avevano bisogno, infatti, per autodefinirsi, di affermare e mantenere dei confini, ossia delle barriere geografiche, nei confronti dei propri vicini. D’altra parte, tali confini potevano essere messi in discussione per le cause più disparate, come l’accrescimento della popolazione, il desiderio o la necessità di possedere maggiori risorse idriche o ottenere luoghi idonei a determinate attività che si andavano sviluppando e cosi via.
Ciò diveniva causa del nascere di frequenti contestazioni e conflitti e, spesso, sfociava in vere e proprie guerre, che costituivano un importante strumento di conoscenza geografica, allargando gli orizzonti conoscitivi di un popolo, ponendolo strettamente a contatto con altri e favorendo così la conoscenza di terre lontane. Per le società neolitiche, come del resto per la maggior parte delle antiche civiltà, la guerra, infatti, non rappresentava un evento negativo ed eccezionale, bensì un mezzo normale per garantire la propria sopravvivenza, accrescere il proprio benessere e affermare la propria vitalità.
Ma questa rivoluzione non fu un mutamento improvviso, bensì richiese tempi lunghi e, soprattutto, diversi nelle diverse parti della Terra e se interessate dai sui cambiamenti. Addirittura, in alcune aree periferiche e isolate del pianeta, gruppi esigui di cacciatori e raccoglitori hanno finito per estinguersi – o perdere la propria identità a contatto con la modernità – solo in epoca recente. Dove le condizioni di vita non erano altrettanto favorevoli, il passaggio al Neolitico fu, dunque, più lento e generi di vita basati su caccia e raccolta dei frutti spontanei sono sopravvissuti fino a metà del secolo scorso ‘900, dopo l’anno 0.
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